Il linfedema primario cronico: gestione e percorsi ad ostacoli

Mi chiamo Laura, ho 50 anni, e ho il linfedema, di tipo primario cronico ed ereditario. Tutta la mia famiglia ne è affetta, da mia madre, miei fratelli e mia figlia.

Tutta colpa di un “difetto di fabbrica”, un cromosoma che ci ha compromesso il sistema linfatico, accompagnato da un’inseparabile malattia che ci provoca ulcerazioni e abrasioni alla cornea. In ognuno di noi ha caratteristiche diverse ed un quadro clinico proprio, non siamo tutti uguali.

Sono nata in una famiglia dove il problema di salute era ed è una quotidianità.

Tanti viaggi alla ricerca di visite per soluzioni anche per il mio linfedema alle gambe, con esami diagnostici e proposte di interventi senza garanzie, dove l’unica soluzione era dormire con le gambe sollevate, indossare sempre le bende e fare pressoterapia sequenziale.

Così, con tanti sacrifici, mia madre acquistò direttamente dalla fabbrica l’apparecchiatura, evitando le spese private in un ambulatorio. Di accreditato non c’era nulla e le spese erano tante e continue. È la stessa apparecchiatura che usiamo ancora oggi.

Per me avere le gambe gonfie all’inizio non era poi un problema enorme, le aveva mia mamma; vedevo che se le fasciava sempre e faceva tutto comunque lavorava; ogni tanto aveva delle febbri altissime, ma non mi sembrava tragico. Un problema lo è diventato poi, crescendo.

Ho capito presto l’importanza di indossare ogni giorno e sempre le bende elastiche perché stare senza era improponibile: dita, piedi e gambe si gonfiavano talmente tanto da farmi male, da non riuscire a camminare, a infilare le calze, le scarpe, i pantaloni, e ogni tanto arrivavano le infezioni con febbre alta che mi sembravano non avere fine.

In qualche occasione o nella speranza di svegliarmi al mattino guarita, decidevo di nascosto di stare senza per mettermi una gonna – l’unica – o quelle scarpe. Ma vedevo da sola che non lo potevo fare. E non ci ho pensato più.

Ho capito e ho voluto capire di più sulla patologia del linfedema, solo molto tempo dopo, anni dopo, quando è nata mia figlia. Anche lei con il linfedema e una malattia genetica del nervo ottico. Con lei e per lei ho iniziato da subito a consultare medici ovunque, cercando pareri, percorsi, interventi, soluzioni o quant’altro, con tanta fatica, sacrificio in tutti i sensi. E non ho ancora finito.

Da sempre vivo con l’angoscia dell’incognita, con il terrore di arrivare tardi.

Grazie al computer preso a rate, ho potuto informarmi come volevo, cercando di notte o nel tempo libero (perché di giorno lavoravo), per trovare e capire in autonomia ciò che non trovavo attorno. Quindi altre consulenze, altri pareri, proposte di interventi ecc. Erano importanti le calze compressive che nessuno prescriveva, sedute di terapie combinate in centri fuori regione, solo private, materiale a pagamento e che io non ero in grado di sostenere. Di convenzionato non trovavo niente.

Trovavo percorsi e trattamenti solo per linfedema secondario, post intervento chirurgico: per noi con il primario, arti inferiori etc. nulla.

Il nostro linfedema sarà anche cronico, ma lo è pure la mia, la nostra voglia di combattere per stare meglio. Più vado avanti e vedo che le cose da fare ci sono (e sono tante e vanno fatte), più cresce in me la forza e la voglia di lottare e non mollare.

Spesso mi sento incompresa e sottovalutata. La superficialità e l’incompetenza che incontro mi spaventa.

Trovo disorganizzazione, a volte incoerenza. Mi sembra di essere un criceto che sulla sua ruota gira, gira e rimane al punto di prima, ma non molla.

Lo faccio per mia figlia. Io vengo dopo. Lei ha la precedenza, ed è per questo motivo che è ancora la sola a riuscire a fare qualcosa per il suo linfedema: per fortuna non ha mai avuto un’infezione grave e ne sono contenta perché tutto il mio peregrinare a destra e sinistra è servito: ho imparato tanto.

Come genitore, ho un senso di responsabilità, forse anche di colpa nei confronti di una figlia, che trovo la spinta e l’energia per cercare di fare tutto il possibile purché si giunga ad un iter, un percorso ripercorribile, dalla presa in carico, alle valutazioni, ai famosi piani terapeutici, ai controlli per il monitoraggio, senza dover fare la raccolta di tentativi. Esperienze lunghe, dispendiose in termini economici e di tempo, tanto tempo.

Le difficoltà e le contraddizioni sono ancora tante e la fatica nella gestione quotidiana della patologia pure.  Siamo rari e cronici, e il nostro impegno è continuo, non ci si ferma mai. Ci vuole pazienza, cura e costanza.

Avere la corretta diagnosi è fondamentale, con l’aiuto dei test genetici, degli esami diagnostici. Un consulto con il genetista molecolare è importante in caso di ereditarietà, per poter affrontare l’evoluzione delle mutazioni nel tempo, per tempo, per le probabilità di trasmissione con screening neonatali.

È importante anche farsi rilasciare il certificato di malattia rara che oltre a riconoscere l’esenzione, garantisce, o dovrebbe garantire, di individuare il proprio piano terapeutico-assistenziale assieme allo specialista del centro di riferimento designato. Ecco, qui sta il punto: il piano terapeutico personalizzato, che va fatto con l’intera rete assistenziale coinvolgendo tutti, il paziente, il medico di famiglia, le strutture sul territorio, Distretti o le Strutture Ospedaliere in grado di offrire il percorso riabilitativo necessario, tutto ben delineato, ripetibile, è talmente importante quanto dispersivo e frazionato.

Anche il riconoscimento dell’invalidità che consenta l’accesso ad alcuni percorsi riabilitativi può rivelarsi di grande aiuto se valutato in modo adeguato da un commissione medica competente.

L’invalidità permanente per il malato di linfedema è contemplata, spetta di diritto, è un altro tassello importante. Ma anche questo nessuno te lo dice chiaramente. Lo scopri. Lo scopri durante il tuo cammino quando ad un certo punto per poter fare una determinata domanda ti viene chiesto di esibire il Certificato dell’INPS, e allora ti informi perché non ce l’hai. Se hai bisogno di fare un acquisto sanitario, chiedere un rimborso, devi prendere apparecchiature, ausili, dipende dalla percentuale di invalidità che hai.

È molto triste che nessuno ti dica chiaramente cosa devi fare dall’inizio alla fine, ti dia delle “istruzioni per l’uso”; tutto rimane fumoso, incerto, e vai a tentoni, corri di qua di là, spesso a vuoto e quando magari riesci a trovare un qualche percorso, con enorme fatica e finalmente vedi dei risultati.

Devi occuparti ed impegnarti ed organizzare per bene i tuoi tempi rispettando quelli burocratici per ricominciare tutto dall’inizio: nulla è automatico e ripetibile.

Solo dopo tante consulenze in giro per l’Italia, molte private, tra Centri specializzati e Ospedali, Centri Malattie Rare regionali e quant’altro siamo approdati ad un’Associazione di malati di linfedema, l’ALL, ad un’ora di treno da casa, con un fisiatra esperto in linfologia che ci ha capito e con il quale ho avuto le prime conferme di quello che leggevo e trovavo in giro.

Ci siamo arrivati dopo tanti anni, appena nel 2013, quasi per caso, per fortuna. E abbiamo iniziato l’iter per il così importante e fondamentale ciclo riabilitativo decongestionante presso una clinica linfologica specializzata.

Qui ho capito quanto sia importante la riabilitazione combinata intensiva, anzi importantissima, perché la stasi linfatica che all’inizio può essere abbastanza fluida, poi con il tempo aumenta, si addensa, diventa cronico pesante, si trasforma in tessuto fibrotico, ed è a questo punto che la linfa non scorre più, con le inevitabili conseguenze, e il problema diventa grave. Il ciclo intensivo serve ad evitare tutto questo, a non peggiorare.

Fu così infatti che con 21 giorni di sedute di linfodrenaggio manuale, bendaggi multistrato, ginnastiche specifiche, monitoraggi e controlli continui, che miracolosamente sono riusciti a ridurre in maniera significativa l’edema cronico, e arrivare alla misurazione delle parti trattate e realizzare così i tutori elastocompressivi su misura, costituiti da guanti per le dita dei piedi, gambaletti e bermuda, da portare ogni giorno e sempre, una seconda pelle contenitiva che permette di non regredire mantenendo i benefici acquisiti.

Abbiamo imparato l’importanza di prenderci cura di noi stessi, dalla nostra pelle, dei nostri ausili elastocompressivi, come lavarli, asciugarli, quando sostituirli, a come fare i bendaggi notturni, e che portano via tanto tempo: non è semplice se non sei pratico o sei un fisioterapista, e ti possono disturbare il sonno, ma anche qua esistono degli accorgimenti che scopri da solo strada facendo: o dormi e riposi o ti bendi e ti sbendi, senza tener conto che ogni tanto la pelle dovrebbe respirare e non stare sempre coperta da mille strati.

Con addestramento del fisioterapista abbiamo scoperto e sperimentato anche gli effetti dei kinesiotape: un nastro adesivo a tensione regolabile che se applicato alle parti gonfie può prolungar l’effetto del linfodrenaggio, contenere in parte l’edema al posto dei spessori che invece occupano spazio nelle scarpe, nelle calze, e aiutano il circolo linfatico, il tutto da tenere sotto i tutori.

È importante anche l’aspetto e il sostegno psicologico, la formazione del paziente e dei suoi famigliari all’autogestione in self care su ogni fronte.

Può capitare come tutti di stare male, per un influenza, un ricovero, un’assenza per lavoro o altro, che la tua gestione può complicarsi in un attimo e allora tutto si ferma. Basta un mal di schiena, una mano fasciata o la febbre con la pelle che ti brucia e diventa talmente sensibile da non riuscire a sopportare nulla addosso che ti copra e comprima, o non ce la fai a infilar le calze: senza non puoi stare perché l’edema cresce a vista d’occhio, e quindi non puoi stare in piedi ed uscire.

Conoscere, imparare a gestire in autonomia e in famiglia è possibile, il lavoro da fare è tanto e continuo. Si devono imparare a riconoscere le possibili complicazioni dovuti al ristagno della linfa, pericolosissime per noi e per il nostro sistema immunitario già compromesso: le infezioni possono capitare in ogni momento e peggiorare la situazione. Vanno riconosciute e curate tempestivamente per non diffondere l’infezione al resto dell’organismo attraverso la rete linfatica difettosa.

Ci sono inconvenienti che è bene conoscere per tempo possibilmente prima di doverli sperimentare di persona, come è capitato a me con episodi di erisipela e linfangiti, globuli bianchi alle stelle, un lungo ricovero, dimissioni, guarita e fine senza alcun seguito di niente.

Può capitare anche di avere la linforrea, una sorta di fuoriuscita di linfa dalle parti edemose che sature di linfa improvvisamente perdono. Ti sorprende senza preavviso, può capitare ovunque, e dura quanto dura, da poche ore a più giorni. È fonte di grande disagio, e devi intervenire immediatamente. E devi saperlo fare.

Possono insorgere le ulcere, anche se inizialmente piccole sono dolorose e lunghe da rimarginare. È un lavoro continuo, di sacrificio, ti tempo, di cura, ma va perseguito per poter vivere al meglio.

Noi malati dobbiamo essere i primi ad essere e a tenerci informati perché siamo noi a stare male se qualcosa non va. Inoltre, qualcuno ci deve aiutare e deve essere anche disponibile ed esperto in caso d’emergenza per sapere cosa fare.

Ho capito anche che i cicli decongestionanti combinati sono talmente importanti che andrebbero ripetuti almeno una volta all’anno, e per tutta la vita, ma tra visite, controlli, domande e burocrazie varie, se tutto va bene, riesci a farlo ad anni alterni. Ti devi organizzare con i tempi, tuoi e della burocrazia. Gli elastocompressivi, così fondamentali per contenere l’edema, costano molto, sono su misura, e non puoi farne a meno.

Esiste la possibilità di contributo a fronte di una spesa all’anno, ora anche meno, ma anche qui la storia è lunga: difficoltà per la prescrizione, per le misurazioni, che dovrebbero venir assunte dopo cicli combinati e non in qualsiasi momento del giorno, eppure ti senti dire “venga pomeriggio per le misure” oppure “io non posso fare la prescrizione”. Ed è penoso.

Di fronte a domande di rimborso, attendi tra solleciti ed incomprensioni una risposta. Ricevi diniego perché non hai i requisiti, ti manca l’accompagnamento. Allora ti arrabbi, insisti, coinvolgi altri specialisti ed improvvisamente il diniego si trasforma in un esito favorevole.

Intanto il tempo passa, anche un anno. Mentre aspetti inizi anche ad avviare il nuovo iter per sostituire i tutori precedenti che rimborsati o meno si sono comunque usurati e vanno cambiati, altrimenti non servono a niente. Anche questi tanto indispensabili quanto difficilmente raggiungibili, prescrivibili o riconoscibili.

La nostra malattia è rara, di linfedema primario non si guarisce e il nostro lavoro è quotidiano, occupa tempo e fatica, di giorno di notte, cercando informazioni, compilando moduli, richieste, facendo strade su strade ai Distretti, negli ambulatori, spendendo per tutto ciò che ci aiuta a contenere il nostro edema che è cronico. Ma non tutto appare in elenco, non tutto è riconducibile, e nel frattempo riposa con le gambe per aria, di notte e appena puoi, e contemporaneamente studia, lavora: vivi, non ci si annoia ma non ci si arrende.

Ogni tanto spesso arriva lo sconforto e la stanchezza, ma durano poco, è un lusso.

Sebbene sembra che ora la Legge nazionale ci riconosca tra i malati rari, pochi lo sanno, i percorsi sono tuttora tortuosi, a volte contraddittori. Esistono delle Linee guida che pochi conoscono, ci sono dei PDTA per il linfedema che potrebbero venir applicati o modificati all’occorrenza, le terapie sono ben individuate e vanno eseguite tutte assieme.

In conclusione, le leggi, i decreti ci sono, le linee guida pure, i centri di riferimento idem, le norme forse interpretabili e difficili da applicare anche dagli addetti ai lavori esistono.

I malati da curare ci sono per cui quello che manca sono le giuste competenze, le figure in grado di valutare, riconoscere, organizzare, ed individuare i piani terapeutici personalizzati anche per capire esattamente a cosa ci serve la nuova esenzione per malattia rara ora che possiamo ottenerla grazie ai nuovi LEA.

Ci dovrebbe essere una sinergia tra pazienti, Associazioni, Centri di riferimento per le Malattie Rare, commissioni dell’INPS che assieme ti consentano di curarti, e contemporaneamente, studiare, lavorare, perché tutto influisce sulla tua vita quotidiana: le assenze da scuola, dal lavoro possono essere numerose, frequenti e lunghe e non solo per fare le terapie.

Ci potrebbe essere una sorta di programma stabilito, di cura e prevenzione con esami gratuiti e di qualità da parte della regione, del servizio sanitario col medico di base, un po’ come avviene per lo screening per il tumore al seno, al colon, all’utero, ecc.

C’è tanto da fare, da sapere e organizzare e tanto va migliorato. Si dovrebbe stabilire chi fa cosa, senza spreco di tempo e risorse; noi ne abbiamo bisogno e siamo molto esigenti: siamo i primi a sperimentare le situazioni, tutte ogni giorno, e ne siamo responsabili.

Nonostante le nostre grosse e continue difficoltà di ogni genere non dobbiamo dimenticare che ci sono anche figure che pur non essendo esperte del caso specifico e non per forza figure mediche, svolgono il proprio lavoro con impegno e passione ma che purtroppo incontrano a loro volta ulteriori difficoltà e poca chiarezza negli iter e nelle risorse, ma si impegnano ugualmente per darci una mano, e non posso tralasciarle, non considerarle: se sono arrivata fino a qui è anche merito loro!